Matthieu Ricard – Il gusto di essere felici : Recensione Libro

Ho finito di leggere il libro : Il gusto di essere felici, di Matthieu Ricard.

L'autore è uno scienziato Francese che ha studiato biologia molecolare, per poi essere attratto dal Buddismo e in seguito a vari viaggi spirituali in Tibet ed India diventare un monaco buddista.

Questo suo percorso traspare nel libro, nel quale riesce ad unire incredibilmente bene una mentalità e conoscenze scientifiche, ad una filosofia orientale buddista e riuscendo a sottolineare molte differenze e concezioni di vita diverse tra l'occidente e l'oriente.

Non è un libro prettamente "scientifico" seppure l'autore cita spesso studi specialmente di genetica, psicologia, psichiatria e neuroscienze e numerosi scienziati di fama mondiale di cui è amico e racconta le discussioni, ma un libro che definirei nel senso più positivo del termine "spirituale" e di autoconoscenza.

L'argomento del libro sviscerato in 24 capitoli, è la felicità in ogni suo aspetto.

Non la felicità come fine, la felicità come modo di vivere, come modo di concepire la vita.

La felicità come lente, non come soggetto.

Il libro è scritto in maniera molto colloquiale e l'empatia e saggezza dell'autore trasudano da ogni pagina, mi sono ritrovato più volte a leggere per 3-4 ore di seguito senza neanche accorgermene da quanto il libro è ben scritto e coinvolgente.

Gli spunti di riflessione sono tantissimi, e invitano davvero a soffermarsi a riflettere sul come si sta vivendo e se ci si è posti gli obiettivi giusti.

Indubbiamente un libro che almeno un pò formerà ed influenzerà il pensiero di chiunque lo legga.

Il libro in italiano lo potete acquistare QUI

Di seguito riporto alcuni estratti che mi hanno particolarmente colpito :


"Un' altra caratteristica dell'ossessione è la fondamentale insoddisfazione che porta.

Non conosce gioia, tanto meno appagamento.

Non potrebbe essere altrimenti, visto che la vittima dell'ossessione cerca cocciutamente sollievo nella stessa situazione che lo tormenta.

Il tossico rinforza la sua dipendenza, l'alcolista beve fine a delirare, l'amante rifiutato guarda tutto il giorno la foto della sua amata.

L'ossessione genera uno stato di ansia e sofferenza croniche fatto egualmente da pezzi di desiderio e repulsione, insaziabilità e disgusto.

In verità, non è altro che una dipendenza dalle cause stesse della sofferenza."


 

"Dobbiamo praticare ciò che produce felicità, perchè se essa è presente abbiamo tutto e se essa è assente faremo di tutto per averla.

Anche se, idealmente, la soddisfazione di tutti i nostri desideri fosse ottenibile, non porterebbe alla felicità ma alla creazione di nuovi desideri o, probabilmente, all'indifferenza, disgusto, o addirittura depressione.

Perchè depressione ? Se ci convincessimo che soddisfare tutti i nostri capricci renda felici , il collasso di questa illusione ci farebbe dubitare dell'esistenza stessa della felicità.

Se avessi più di quello che potessi immaginare senza essere ancora felice, allora la felicità dovrebbe essere impossibile.

E' un buon esempio di quanto possiamo andare avanti a prendere in giro noi stessi sulle cause della felicità.

Il fatto è che senza una pace interiore e saggezza, non abbiamo nulla per essere felici.

Vivendo su di un pendolo tra la speranza ed il dubbio, l'eccitazione e la noia, il desiderio e la stanchezza, è facile buttare via le nostre vite, pezzettino per pezzettino, senza neanche notarlo, correndo come pazzi senza arrivare mai da nessuna parte.

La felicità è uno stato di soddisfazione interiore, non la gratificazione di desideri inesauribili per cose esterne."


 

"Cosa intendiamo per realtà?

Nel Buddismo questa parola connota la vera natura delle cose, non modificata dai costrutti mentali che noi imponiamo su di esse.

Questi concetti aprono un buco tra la nostra percezione e la realtà, e creano un eterno conflitto con il mondo.

- Leggiamo il mondo in modo sbagliato e diciamo poi che esso ci illude - scriveva Rabindranath Tagore.

Consideriamo permanente ciò che è effimero e per felicità ciò che è solo una fonte di sofferenza : il desiderio di ricchezza, di potere, di fama, e la ricerca dei piaceri.

Per conoscenza non intendiamo la maestria di masse di nozioni e di studio ma una comprensione della vera natura delle cose.

Per abitudine, percepiamo il mondo esterno come una serie di distinte, autonome entità alle quali attribuiamo caratteristiche che crediamo gli appartengano intrinsecamente.

La nostra esperienza quotidiana ci dice che le cose sono "buone" o "cattive".

L'IO che le percepisce ci sembra ugualmente concreto e reale.

Questo errore, che il Buddismo chiama IGNORANZA, fa nascere un profondo riflesso di attaccamento e avversione che generalmente porta alla sofferenza."