Intervista – Andrea Roncari : Fisioterapia – Allenamento – Università

Oggi ho il piacere di intervistare Andrea Roncari, autore del libro "Project Exercise", articolista, laureato in scienze motorie, fisioterapista e personal trainer.

Abbiamo parlato del mondo dell'allenamento e della fisioterapia, il collegamento ed il gap che c'è tra i due mondi, e la formazione universitaria finalizzata a questo ambito.

Ciao Andrea e grazie per la disponibilità!

Grazie a te!

Ci fai un’introduzione al tuo percorso formativo e professionale?

Sono da sempre stato un appassionato di sport e di attività fisica in generale. A dire la verità, ti confesso che appena finito il liceo scientifico mi ritrovai spaesato e ancora caratterialmente acerbo. Ho iniziato ad andare in palestra per rinforzare il mio esile fisico da calciatore di medio livello e da lì è scattata la scintilla che ha illuminato il mio percorso.

La voglia di conoscere e capire, la curiosità e lo spirito critico mi hanno spinto a voler andare a fondo di argomenti che mi hanno attratto fin da subito, alimentando una passione iniziale che si intuiva non poteva avere la durata di un’emozione. Inizio così il mio percorso accademico di sei anni, università e libri di giorno, attività lavorativa in palestra la sera, teoria e pratica sempre a braccetto.

Mi laureo in Scienze Motorie prima e in Fisioterapia poi, non tanto con lo scopo di “trovare un lavoro”, quanto trasportato sempre dalla passione e dalla coerenza con il percorso stimolante intrapreso. Durante gli anni di studio ho potuto confrontarmi sin da subito con la realtà lavorativa, prima come istruttore semplice in sala pesi e via via in crescendo come personal trainer e fisioterapista, seguendo il mio bagaglio di conoscenze che andava aumentando inesorabilmente.

Oggi lavoro come fisioterapista e personal trainer all’interno di un centro fitness e soprattutto ho la possibilità di divulgare contenuti appresi, interpretati e rielaborati all’interno del Project Invictus tramite articoli, video e libri di testo. E chissà, sempre mosso dalla voglia di un costante miglioramento, un futuro nella didattica non mi dispiacerebbe affatto.

Come è nata l’idea del Project Exercise e quale “mission” ti sei posto con il libro, che messaggio volevi comunicare?

Project Exercise nasce piano piano nella mia testa, grazie ad anni di sala pesi a contatto con le persone, con le loro domande e i loro dubbi, giustificate da uno scenario oggettivo nel quale le esecuzioni degli esercizi sono sempre state argomento confuso ricco di opinioni contraddittorie e contrastanti.

Parto così dai dubbi tipici della palestra per dirimere le varie questioni partendo dal basso, utilizzando le conoscenze apprese nel mio lungo percorso accademico e riadattandole al contesto del fitness. Project Exercise non vuole imboccare il lettore e insegnare stile “pappagallo” e nemmeno riempirlo di inutili nozioni accademiche irrilevanti.

Vuole essere invece un inno alla consapevolezza su ciò che si fa e si propone alle persone, facendo da ponte tra la teoria e la pratica, chiarendo finalmente questioni inerenti l’attivazione muscolare, il rischio articolare e la personalizzazione dell’esercizio a seconda dei contesti.

Da fisioterapista ed appassionato dell’allenamento, credi che sia un grosso GAP formativo e di mentalità tra la maggior parte dei fisioterapisti e la compresione del mondo dei pesi e delle necessità degli atleti amatoriali e professionisti? Credi ci sia bisogno di un’intergrazione maggiore tra i due mondi?

Da sempre auspico a una maggiore collaborazione tra fisioterapista e professionista del fitness, collaborazione che davvero ha un potenziale enorme e purtroppo tuttora gran parte inespresso. Credo che i due mondi possano davvero integrarsi per il bene della persona in un settore come quello de fitness che vede spesso persone borderline tra il clinico e il preventivo (dolori di schiena, cervicale, dolori alla spalla ecc. ecc.).

Per fare ciò però è necessario a mio parere un cambiamento su due fronti: quello prettamente formativo e quello umano.

Purtroppo molto spesso un fisioterapista per questioni legate al piano di studi universitario e alle esperienze lavorative acquisisce una visione eccessivamente fragile dell’essere umano (anziano-centrica la chiamo io), la quale gli impedisce di riportare fondamentali conoscenze nel mondo della palestra e della prevenzione.

A mio parere, invece, un fisioterapista può dare tanto in quest’ottica e può davvero contribuire a migliorare la credibilità del settore fitness senza farsi influenzare dai luoghi comuni e armandosi di umiltà. È proprio l’umiltà che deve caratterizzare la collaborazione da entrambi i lati, creando un “conflitto amichevole” nel quale uno impara dall’altro e viceversa, sempre per il bene della persona che si allena.

Quanto credi che vada implementato un approccio basato sul resistance training (che può andare da banali elastici fino ad esercizi impegnativi con carichi pesanti) nella cura, riabilitazione e prevenzione dei problemi articolari e muscolo tendinei?

Ricollegandomi a quanto detto poco fa, direi che un approccio di questo tipo vada eccome implementato e ancor prima conosciuto meglio.

Purtroppo il mondo dei pesi è spesso sconosciuto e poco considerato da una buona parte di fisioterapisti, che lo vedono solo come un serbatoio infinito di articolazioni infortunate.

Una conoscenza scientifica, approfondita e critica del mondo della palestra, del fitness e del bodybuilding può invece a mio parere dare una marcia in più anche al fisioterapista, favorendo l’acquisizione di una mentalità più aperta e di strumenti più efficaci sia nella cura che nella prevenzione dei disturbi muscolo-scheletrici.

Numerose evidenze suggeriscono sempre più che il resistance training sembra nel lungo termine la migliore arma contro i dolori e problemi cronici al sistema muscolo scheletrico, ma la grande maggioranza dei fisiatri,ortopedici,fisioterapisti sembra non carpirne il reale valore ed il classico consiglio “di fare nuoto e passeggiate” continua a spopolare soprattutto per i soggetti con problematiche alla schiena. Cosa pensi a proposito di ciò e secondo te come si può agire per cambiare le cose?

Penso che tutto ciò nasca dalla cattiva nomea che il mondo della palestra si è fatto negli anni. Purtroppo ad oggi lo stereotipo “tutto muscoli e niente cervello” rappresenta un substrato culturale ancora troppo radicato, alimentato effettivamente da una mancanza di scientificità dell’ambiente, ancora troppo legato a conoscenze tramandate basate solo ed esclusivamente sulla sensazione e sull’esperienza soggettiva dei “più grossi”.

Fortunatamente il mondo della palestra, come bene hai precisato, ha una caratura superiore, e i pesi se usati con criterio possono davvero apportare benefici incredibili in tutti i soggetti, dal ragazzino alle prese con alterazioni posturali, alla signora osteoporotica. Per cambiare le cose serve impegno e costanza, serve sempre più dimostrarsi scientifici e credibili agli occhi dei medici e dei fisioterapisti, collaborando con loro, dimostrando di parlare la stessa lingua e di avere gli stessi obiettivi.

A quel punto anche i più restii dovranno arrendersi al fatto che l’attività con sovraccarichi usata nella maniera giusta può diventare uno strumento imprescindibile da consigliare ai pazienti sotto la guida di un professionista serio e preparato. E forse, anche con l’aiuto di un pizzico di buon senso e umiltà, il substrato culturale e l’atteggiamento potrà iniziare a cambiare.

Spesso si sente che facoltà come biologia e nutrizione non preparano adeguatamente i futuri nutrizionisti così come Scienze Motorie non prepara adeguatamente i futuri preparatori e trainer, perchè persiste un approccio troppo nozionistico teorico e poco pratico. Credi che ciò valga anche per Fisioterapia? Ed in generale qual è la tua idea sul sistema universitario italiano e la preparazione che fornsice ai futuri professionisti in questi campi?

Direi in parte sì. Con l’eccezione importante che nel corso di laurea in Fisioterapia si affrontano moltissime ore di tirocinio pratico che, in qualche modo, ti avviano alla professione e non ti abbandonano alla pura teoria delle aule. Quando esci da Fisioterapia hai ovviamente ancora tantissimo da imparare ma le varie esperienze di tirocinio ti formano, portandoti subito a contatto diretto con la realtà dei luoghi di lavoro e con le persone da trattare.

Questo approccio, da una parte permette di “vedere” le conoscenze apprese in facoltà prendere vita, ma dall’altra rende anche lo studente più consapevole e critico nei confronti del piano di studi che affronta, troppo spesso ricco di nozioni irrilevanti nella pratica e ripetute troppe volte e in troppe materie che appaiono differenti più nella forma del nome che nella sostanza dei contenuti.

Mancano invece numerosi approfondimenti riguardo a quell’affascinante mondo dei disordini muscolo-scheletrici (lombalgie, cervicalgie, dolori aspecifici), che poco si affronta in facoltà, con la scusa plausibile dello scarso tempo a disposizione, cavalcata in maniera formidabile dall’ampia offerta formativa degli innumerevoli corsi post-laurea (pagati spesso profumatamente) che lo studente si ritrova spesso obbligato ad affrontare se vuole capire qualcosa in più.

Ad ogni modo credo che la cosa che più manca all’università in generale sia il contatto diretto col mondo reale. Nei miei due percorsi accademici ho notato spesso la mancanza di un ponte tra la teoria delle aule e la pratica sul campo. Lo studente viene sommerso di informazioni, che spesso è costretto a imparare a memoria con l’unico scopo di passare un esame, perdendo di vista la fondamentale differenza tra una nozione e una conoscenza: la prima rimane tale, la seconda diventale tale solo grazie a un nesso, e il nesso concreto deve essere il primo generatore di senso per uno studente.

Come giudichi il livello in generale della Fisioterpia in italia al momento? Credi sia sufficientemente evidence-based o è anch’essa nella pratica attanagliata da miti e credenze con pochi fondamenti scientifici come il campo della nutrizione e  quello dell’allenamento? E rispetto alle realtà estere quella italiana come la giudichi?

In realtà non mi sento in grado di giudicare. Credo solo che come in tantissimi altri campi esistano professionisti bravi e meno bravi, aggiornati e meno aggiornati, e ciò è vero in Italia come negli Stati Uniti, come in Germania e in Inghilterra. La passione fa sempre la differenza tra un buon professionista e un eccellente professionista e ciò accade anche nella fisioterapia.

Questo è sicuramente un mondo che necessita di uno studio continuo perché gli argomenti sono molto vasti e complessi, sempre in evoluzione e all’interno di infinite discussioni scientifiche. Oggi il mondo della fisioterapia è sicuramente più razionale e ogni professionista ha a disposizione strumenti  scientifici evidence-based per approcciarsi alle varie problematiche. Sta a lui usufruirne sempre mosso dalla curiosità e dal buon senso.

Credi che le nuove realtà nate grazie ad Internet come lo stesso Project Invictus ed in generale la grandissima disponibilità di informazione e la possibilità di studiare e consultare direttamente le fonti anche in lingua originale alla portata di tutti, stia creando un solco tra “la vecchia guardia” dei professionisti del fitness e le nuove generazioni? Credi che tutta questa disponibilità di informazioni sia un’arma o un pericolo perchè poco filtrata come sostengono alcuni?

Sicuramente oggi abbiamo un incredibile serbatoio di informazioni illimitato e disponibile a tutti che non mi sento di considerare a tutti gli effetti un vero e proprio pericolo. Tuttavia, a mio parere, niente e nessuno potrà mai sostituire il ruolo di un “maestro”, qualcuno in grado di trasmettere e veicolare le conoscenze in maniera razionale e soprattutto di stimolare la voglia di conoscere e imparare.

A maggior ragione in uno scenario del genere qualcuno che ti faccia da guida nella giungla di nozioni rimane fondamentale, così come rimangono fondamentali i percorsi di studi strutturati che non potranno mai essere sostituiti da una didattica “fai da te” a tempo perso su google. Solo con un ottimo background culturale e con uno spirito critico la rete può rivelarsi davvero una marcia in più per chi ne fa un buon utilizzo. Internet è uno strumento magnifico ma che deve essere usato con criterio rimanendo consapevoli che la conoscenza non è un accozzaglia di nozioni, bensì un insieme di nozioni organizzate, collegate e contestualizzate.

Dato il tuo background ed il libro che hai scritto, sicuramente hai un approccio agli esercizi molto “analitico” (come cerco di avere anche io) ovvero guardando un esercizio non vedi il semplice movimento ma schematizzi mentalmente quello che sta succedendo nelle varie articolazioni interessate e come si distribuisce la tensione. In questa ottica, come giudichi gli eterni discorsi sui “grandi fondamentali” e “isolamento vs sinergia” ? Quando si guarda un movimento dal punto di vista biomeccanico, questi discorsi secondo te non perdono di significato apparendo fini a se stessi?

Sì, in effetti si corre il rischio di non vederli più così significativi. Tuttavia, quando si analizza un movimento solo come un insieme di leve, aste e forze in gioco non si deve commettere l’errore di distaccarsi dalla realtà dell’ambiente in cui si lavora, credendosi superiore. Lo studio biomeccanico degli esercizi di bodybuilding, per esempio, è uno strumento oggettivo utilissimo a dirimere famose questioni e l’analisi del movimento dovrebbe essere nel bagaglio di competenze di chiunque abbia a che fare col movimento che sia per fini clinici, riabilitativi, preventivi o prestativi.

Questo strumento però deve ben sposarsi con le realtà specifiche del settore con l’aiuto del buon senso. È chiaro che, se giudichi gli eterni discorsi cui hai fatto riferimento come biomeccanico puro, essi possono risultare privi di senso, ma il segreto sta appunto nel contestualizzare. Lo scopo di uno studioso di biomeccanica nel mondo del fitness non deve essere quello di far vedere quanto è bravo, ma quello di fornire un approccio diverso all’appassionato che lo aiuti a capire meglio ciò che fa in palestra aumentando la propria consapevolezza.

Che percorso di studi e formazione consiglieresti ad oggi ad un aspirante professionista del fitness\allenamento? Scienze Motorie? Fisioterapia?

Consiglierei di partire dalla propria passione, da ciò che lo incuriosisce di più e che lo motiva.

Quello del fitness e dell’allenamento sono due ambienti multidisciplinari ed è possibile occuparsene da più punti di vista e con una maggiore preparazione in alcuni settori specifici (nutrizione, postura, prestazione ecc.). Impensabile diventare tuttologi, auspicabile invece seguire la propria strada scegliendo di intraprendere la via più stimolante.

Chiaro, avere più competenze certificate sarebbe il top, ma ciò non vale nulla se non è associato a una costante voglia di migliorarsi.

Quali sono secondo te le qualità che fanno la differenza e portano al successo un professionista del Fintess in Italia ad oggi?

In primis la passione vera per questo mondo, la voglia di capire ciò che si fa e di applicarlo nel quotidiano su se stessi e sugli altri. Poi lo spirito critico, la voglia costante di andare oltre le proprie certezze e di rimettersi costantemente in discussione. E qualità come l’umiltà, l’empatia e la curiosità. Senza di queste si cade inconsapevolmente nella mediocrità.

Siamo alla fine di questa intervista. Hai un aforisma che sintetizza la tua visione del mondo che vorresti condividere?

“Niente succede, a meno che prima non sia un sogno”. L’ho utilizzato come incipit del mio libro. Un inno alla possibilità, contro il fatalismo e la rassegnazione in ogni settore della vita. Tutto ciò che esiste è stato prima idealizzato, i sogni e le idee sono l’obbligatorio preludio alla riuscita di qualsiasi cosa e al raggiungimenti di ogni obiettivo.

Grazie ancora della disponibilità ed in bocca al lupo per i tuoi progetti!

Grazie mille a te, è stato un piacere!